mercoledì 30 maggio 2012

ginocchiasbucciateincrostadime

C’è una cosa che mi ha sempre fatto pensare. Sin da piccola, mi son sempre sbucciata le ginocchia. La prima volta è successo mentre imparavo ad andare in bicicletta. Lì è stata una caduta dietro l’altra. Ricordo la ghiaia della stradina di campeggio. Ricordo il peso della mano di papà che lasciava il sellino. Ricordo l’instabilità della via e della mia andatura. Ricordo la mia caparbietà a continuare a stringere il manubrio, nonostante fossi per terra. Ricordo la sera, nel letto di mamma e papà, le lenzuola che strofinavano dolorosamente contro le mie ginocchia grattuggiate.

Le lasciavamo all’aria in modo che potesse formarsi la crosticina. Si trattava di una specie di miracolo: il sangue che mi pareva acqua rossa, ad un certo punto si fermava, e diventava una specie di collinetta. Proteggeva, quella collinetta, che era il mio miracolo di sangue e ossigeno. Loro si mettevano all’opera per guarirmi.

Io ovviamente, il giorno dopo mi rimettevo su due ruote e facevo saltare ancora la crosta di sangue. Come una frana o uno scoppio di pelle. Un po’ mi piaceva il mercurio cromo, anche se non mi stava simpatico per via del bruciore. Ma era il mio trofeo, che poi fasciavamo con cerotti, garze varie e piccoli gesti di premura.

Quello che voglio dire è che l’amore è un po’ così per me: un’insistenza che si ferisce. Una caparbietà che cade. E guarisce con le cure adatte. Ferite che si fasciano. Mani che accarezzano e tengono il sellino per un po’. Allora si rimonta in sella da soli, perché non mi è mai capitato di salire in tandem, non mi pare bello esteticamente, a dirti la verità.

Invece mi piace l’idea di procedere affiancati, che quando uno sta per perdere l’equilibrio, a l’altro, basta allungare una mano. E afferrare. Magari ci si sgualcisce un po’ i vestiti, ma che importa. Mi piacciono le persone arruffate.


venerdì 25 maggio 2012

atterra.


La gravità è il modo in cui cadiamo addosso al mondo.

Siamo piccoli e insignificanti esseri che cadono giorno dopo giorno sulla superficie di qualcosa che è sospeso da tutto, che galleggia come noi non possiamo fare, bloccati a terra dai nostri piedi, dall’ignoranza e dalla noncuranza che ci contraddistingue. Tutto nasce da questa meravigliosa terra, dobbiamo imparare a esserne più consapevoli e rispettosi, che non si scherza con qualcosa che galleggia nello spazio, che vive un tempo quasi immortale che noi non possiamo neanche concepire, e il solo pensarlo, ci farebbe implodere fino a scomparire per la sua enormità. Siamo piccoli di statura d’anima rispetto al mondo, che ci accoglie come una madre, e noi la rinneghiamo come presi da una crisi di ribellione adolescenziale.

Ma se la madre si stancasse? Se avesse voglia di annegare dentro l’universo, distruggendoci? Se le scosse della terra fossero la reazione di ferite di nucleo che noi colpiamo manco fossimo tiratori sopraffini?

Se fossimo noi che ci macchiamo del sangue della terra e non lei che beve il nostro, ogni volta che si porta via qualcuno, semplicemente scrollandosi un po’ della pelle vecchia dalla sua superficie?

L’unica gravità dalla quale non dovremmo sfuggire in continuazione è l’umilta che ci dovrebbe spingere a inginocchiarci contro la terra.  Non sulla, come se lei ci dovesse ancora qualcosa, un appiglio, un posto in cui sedersi, camminare e vivere. Contro, per essere alla pari, per poter dire: ehi terra, tu sei e io sono, contro per pari diritto ad esistere, con per esigenza nel sopravvivere. Insieme per viaggiare come si fa con il proprio innamorato, mano nella mano, occhi negli occhi. Fino a che morte non ci separi.

domenica 20 maggio 2012

Parolechenonsivoglionodimenticare.

Dimentico. Per questo scrivo, appunto tutto sulla superficie di un'agenda elettronica.
Non posso covare le idee al calduccio, nella sicurezza della scelta delle parole più adatte, della punteggiatura che segna il passo del respiro. Quando scrivo io ho freddo, brucio di un fuoco ghiacciato, che si scioglie solo se lascio le parole subito da qualche parte. Anche prive di un senso compiuto, che magari rimane solo nella testa perché smetterebbe di vivere davvero, se ne uscisse nella sua interezza. Ma deve uscire, deve uscire in fretta, che appena scrivo, dimentico.
Significa dunque che, se rimane nella testa, te lo ricordi?
No. Magari fosse così. Se fosse così non avrei bisogno di scriverlo. Digitarlo con la fretta di una che se non scappa, viene catturata e fatta progioniera. Allo stesso modo corrono i miei pensieri, le parole, le descrizioni frammentarie delle emozioni mie o di qualche personaggio che mi è venuto a fare visita.
Le parole corrono per braccio, raggiungono le dita e lì cadono, compiendosi, almeno in parte.
Le parole avverano respiri affrettati, emozioni mozze, ricordi troppo fragili per sopravvivere.
Allora li devo scrivere. Li devo scrivere e li devo riscaldare, come riscaldo la mia anima, quando le lascio cadere sulla tastiera, una dopo l'altra, facendosi anche un poco male.
E nelle ginocchia sbucciate delle parole, esce vivo il loro inchiostro. Mentre già uno nuovo e caldo, va a prodursi in tutto il corpo, che è la storia, che sono io, che è il mio personaggio.
Tutti bisognosi di venire alla luce, per trovare un po' di calore.

venerdì 18 maggio 2012

Tutuuuu (non è un trenino per bambini), ma una caduta per adulti.


Rimanete in attesa. State per essere trasferiti.  (canzoncina spensierata)

Ecco, questa frase dalla voce metallica, mi ha fatto pensare. Divagare, come mio solito.

Mi sono proiettata nella cornetta del telefono, e scomposta fino all’atomo,  mi sono vista cadere a velocità luce lungo il filo della corrente. Il viaggio appariva ai miei occhi come un trip multicolore, impossibile da catturare. Come me. Premere sull’accelleratore fa questo effetto, non vedi più niente intorno. Sei solo tu e il viaggio.

E quand’è che premi? Di solito per emozioni forti: paura,  delirio, passione per qualcosa o per qualcuno.

E vai vai vai come se non ti dovessi mai fermare, in effetti mi sa che sto andando pure mentre scrivo, ma il fatto è che lo schianto arriva. Ti frantuma le ossa, ti attorciglia un intestino già incasinato di suo, ti ferma il cuore.

E tu sei in apnea per tutta la caduta.

Il cervello è l’unico che non ne vuole sapere di stare in stand-by. E cazzo, tu pensi di tutto: con chi va a letto, come fregare il posto che volevi fosse tuo, come anticipare un collega per ottenere la promozione, come riuscire a … boh, metteteci quello che volete, è lo stesso.

Il cervello non pensa, tritura, assorbe,  e scarica. E tu fai sesso  (l’amore per i più sensibili), corri, nuoti, salti e via così.

Scarichi, insomma.

Rimanete in attesa.

Rimanici tu, che io sono frenesia, droga mai tagliata. Purissima.

State per essere trasferiti

Dal cervello al cuore alle braccia alle gambe alle dita.

E su.

E giù.

Circoli, tutto dentro, sei pressione, sangue carne sangue carne.

Cadi in un movimento sinusoidale per tutto il corpo.

Pit stop di nuovo al cervello.

(canzoncina spensierata)

Lalalalalallerò là.

Là dove? Non si sa.

L’importante è andare, vivere. Magari pure, cantare.


venerdì 11 maggio 2012

Nonsochetitolodarematantositrattasempredicadere

Poi accade. Mi piace dire poi. Iniziare con poi non lo farebbe nessuno, ma io sì. Mi piace sapere che c'era qualcosa prima, la sensazione di stare in mezzo alla via, che l'inizio lo hai già visto, la fine non la vedi neanche se ti impegni. Se lì, lì nel mezzo e finché ce ne hai, sta lì (e sì, non vi scomodate, ho citato Ligabue).
Il mezzo sembra una -non presa di posizione-, ma secondo me invece, è una posizione ben definita: quella del viaggiatore, del paracadutista, o dell'equilibrista.
Perché lì nel mezzo succede sempre qualcosa, e tu non sai cosa, ma succede, stai certo.
Infatti ho detto "Poi accade".
E accade sul serio. Accade di vivere, di innamorarsi, di incazzarsi, di litigare e stare in silenzio dentro per non so quanto tempo. E accade di fare pace, di amarsi di più, di prendere strade diverse. O di trovarsi in quel mezzo, così quasi per caso, duechecadono. Si guardano di sottecchi e le loro espressioni sembrano dire "Eh, pure a te è successo, già già un brutto affare questo di cadere." E l'altro ti fa sì con il capo, con le mani, con le smorfie della bocca o con degli occhi così aperti che se non stai attento, cadi pure lì dentro.
Ma se cadi fuori da una persona allora ti puoi salvare. Sempre se sei un tantino fortunato, se riesci ad aggrapparti a qualcosa, se trovi un cuscino, un materasso, una piscina.
Ma se cadi dentro una persona, auguri, non ne esci facilmente. O non ne esci affatto. E certe volte non è neanche male, te lo devo dire.
Ma divago. Che novità.
Il mezzo è un bel posto per cadere, non sei mai solo, anche se certe volte ti viene di chiudere gli occhi per la paura, e allora mica te ne accorgi che non sei solo.
Ora dirai, beh e anche se non fossi il solo a cadere, che cambia?
Niente, in realtà, o tutto. Niente se non allunghi la mano verso l'altro. Se non ti sporgi di più sul balcone di te stesso. Tutto, se decidi di mettere il naso fuori, aprire gli occhi, allungare la mano.
E due che si trovano così, sta sicuro che arrestano la caduta, e li vedrai galleggiare insieme.
Li vedrai planare e rimettere i piedi a terra. Li vedrai stringersi e dirsi amici. Li vedrai stringersi di più e sentirsi amanti.
Poi accade.
Accade che?
Chenesoio, APRI GLI OCCHI NO?!

venerdì 4 maggio 2012

L'arcobaleno nella testa.

Dicono che ai piedi dell'arcobaleno vi sia un tesoro prezioso. Se hai il coraggio e il fortissimo desiderio di andare fino in fondo, allora hai diritto al tuo premio: le mie idee.
Ti faccio vedere una cosa preziosa, stai attento


Ecco, questa è la mia testa, bianca e spaziosa, la mia casa personale, ti faccio entrare, ma tu sii educato e rispettoso. Puoi scegliere qualunque finestra, bussa e forse, ti aprirò. Beh non pretenderai di entrare quando vuoi, nella mia testa. Insomma, in tempi come questi uno deve stare bene attento a chi fa entrare! Insomma, diciamocelo, c'è tanta di quella banalità che pure io che prendo in giro gli snob, mi trovo a concordare. Sarò snob anche io, o magari ho imparato a fare delle scelte oculate in merito ai miei ospiti...
Ecco, bravo, entra con fare circospetto, tutto sto bianco disorienta, ti capisco, ma i colori li riservo per il piano superiore, al quale non so ancora se darti accesso, sai?
Nel frattempo va un po' a zonzo, stai tranquillo che non ti chiudo dentro, puoi andare quando vuoi. Tanto so che rimmarrai, che quell'arcobaleno al centro di tutto, ti attira troppo.
E tu sei curioso, altrimenti non avresti bussato.
Bene bene cos'è quel rumore che senti, mi chiedi.
Un ruzzolone.
Un ruzzolone?
Sì, certo, sei incredibilmente fortunato, proprio adesso sto producendo. Però spostati dai piedi della scala, sennò verrai travolto dalle parole in caduta libera.
No, dai non si fanno male, sei sensibile però e lo trovo carino.
Loro ci sono abituate sai? Lo fanno in continuazione, si divertono sullo scivolo. Sono come bambini che scoprono le emozioni. Le parole ruzzolano e fanno le capriole, poi si alzano e vanno alla finestra.
E qui avvieve una scelta importante: sto qui o vado fuori a incontrare il mondo?
Ti devo dire che molte scelgono di rimanere, che ci vuoi fare, sono nostalgiche e anche un po' vigliacche eh. Vabbè, altre invece prendono il coraggio e si arricciano per bene, come un palloncino che si gonfia per guadagnarsi il rispetto che meritano, così fanno le idee.
Si premono contro il vetro e via, sono libere di correre fuori!
Io le osservo di quando in quando, per vedere come se la cavano oltre la finestra. Mi duole quando vengono fagocitate o ferite. Piango anche un po' e l'arcobaleno trema.
Ma sono tanto felice quando invece ce la fanno: dicono sì ad un colloquio di lavoro, dicono ti amo ad un innamorato, abbracciano una madre o si fanno sentire per bene alle orecchie del padre. Insomma ce la fanno nella vita, hai capito in che senso, vero?
Sono idee vincenti quelle, idee che conservano tutto il colore dell'arcobaleno e che hanno la forza di vivere e crescere come si deve.
In momenti come quello mi rianimo e ricomincio a produrre perchè vorrei che sempre più idee potessero raggiungere il loro traguardo, il motivo per il quale sono nate.
Adesso che fai, mi chiedi di salire?
Lo vedo nei tuoi occhi che sei meravigliato, non hai mai visto una testa come la mia vero?
Va bene, ma ti devo avvertire, se sali poi non vorrai più scendere.
Però ti posso far ruzzolare, se ti senti sopraffatto dai miei colori. Sono proprio tanti lassù.
Puoi cadere ogni tanto, non ti farai male: fintanto che stai nella mia testa sei al sicuro.  
Sali piano piano, non c'è fretta.
Sono nella zona del tesoro prezioso, nel fino in fondo che però non si trova ai piedi dell'arcobaleno, ma in cima.
Ora dimmi, sei abbastanza coraggioso?



martedì 1 maggio 2012

tuttalalucedelmondo

Tuttalalucedelmondo è un treno che non passa una volta sola. Non credete a chi vi dice: eh, se non ci sali sopra adesso, quello passa e non torna più. E' vero che ogni treno è un'opportunità, e il mio non è un invito a non coglierla, ma è un invito alla pazienza di aspettare quella giusta per noi. Perché la vita è un crocevia di binari che non finiscono mai, ma non tutte le stazioni fanno al caso nostro. La pazienza è un purgatorio che insegna. La pazienza è una lezione che nessuno vuole imparare al giorno d'oggi, tutti presi da questa fretta incredibile di arrivare, che manco si rendono conto di essere sul treno sbagliato.
La pazienza è cadere nel viaggio della notte, una lunghissimanottepienadisognieincubierespiriecolpiditosse.
La pazienza è utile. E' dolorosa, richiede il sacrificio e l'impegno a mantenere gli occhi bene aperti, anche se si ha una voglia matta di dormire e mandare tutto a quel paese (che in "quel paese") le fatiche non esistono. Solo che in "quel paese" la luce è artificiale, fittizia, e come fai se c'è un blackout? Perché in "quel paese" accade sempre, sopratutto se pensi di essere in pace e felice.
Ma la fine della pazienza arriva (c'è una fine per tutto, se non ci fosse saremmo immortali e sai che noia?), e quando arriva a destinazione ti guarda in faccia e sospira, come dopo una lunga corsa. Ti sorride e ti dice: we ce l'abbiamo fatta, che bravi che siamo stati! E tu la guardi e dici: e dove siamo arrivati?
Lei ammica e ti invita a guardare fuori dal finestrino mentre ti spinge a scendere dal treno, che tu ti sei abituato a viaggiare di notte e quasi ti dispiace alzarti e ricominciare a camminare. Hai bisogno di una spintarella, appunto, finale.
Stropicci gli occhi, mentre scendi quei tre gradini che ti separano dalla notte.
Probabilmente si tratta di un'altra caduta di assestamento, ma poi è solo: tuttalalucedelmondo.
Ti investe e ti scalda, ti prende quasi per mano e quella luce diventa un altro treno che assomiglia ad una nuova terra.
Che aspetti adesso, ti dice la pazienza, non temere ci rivedremo ad ogni scelta importante, ma per ora: CORRI NON VEDI CHE LUCE CHE C'E' CHE CHIEDE SOLO DI TE!?