domenica 18 novembre 2012

la passion à l'intérieur

Il polso breve,
il braccio s'innalza al cielo
esplode dentro
s'accende
occhi richiusi nel silenzio
cori di angeli lontani
scendono a santificare le ossa
mentre il fuoco brucia la carne
inferno di lingue
purezza dell'acqua
tutto si scambia
divenire tavolozza del mondo
estensione del sesso, dell'anima
e amore, sangue, morte,
vita
sono tutti i miei colori.






L'impulsion courte,
le bras se lève vers le ciel
explose à l'intérieur
allumé
les yeux fermés dans le silence
chœurs des anges loin
vers le bas pour sanctifier les os
tandis que le feu brûle la chair
l'enfer des langues
pureté de l'eau
tout est échangé
devenir la palette du monde
extension du sexe, de l'âme
et l'amour, le sang, la mort,
vie
sont toutes mes couleurs.

venerdì 16 novembre 2012

dai mi fai il solletico... si può sapere che stai facendo?
ti scrivo addosso
e lo dici così?
così come?
come se fosse la cosa più semplice del mondo e tu ne avessi diritto. che scrivi, me lo dici?


no, non te lo dico


forme

ero delusa solo perché volevo che vedessi la forma del tuo cuore che avevo segnato sulla spiaggia.
mentre immergevo l'indice nella terra pensavo a come potesse essere, e m'è venuto un cuore interrotto.
poi quanto ti ho visto ho dimenticato quei segni, la spiaggia non c'era ed era sparita anche la delusione, persa nei piccoli sorrisi tra uno scaffale e un altro di libri.

ho capito che s'era interrotto sulla spiaggia per ricominciare a battere a tempo col mio in qualunque altro posto.

tout commence par une interruption

martedì 13 novembre 2012

c&c


Ti sbagli

Cominciamo bene

Se ti dico che ti sbagli, così è

E dai spiegami

Ti dico: bum

Il cuore

Macché

Quello è bum bum

Ti dico bum bum

Il cuore!

Macché quello è passato

E allora cos’è

Il cervello

Ah, pensavo facesse splat

Solo che esce dalla testa

E dove va?

Dove il cuore, sta.

 

lunedì 12 novembre 2012

cosa c'è per cena?

Eccoti, ti aspettavo, benvenuto. Cosa fai, non ti accomodi?
Sì, dai, mettiti comodo, togli il cappello il cappotto e l'ombrello.
Siediti siediti.
Cosa c'è per cena?
Sei cuorioso eh, sì, la curiosità mi piace, ma non insistere dai, è una sorpresa. Grazie del vino, non dovevi. Sì, lo so che ci tieni.
Mh che profumino, non trovi?
Mettiti lì nell'angolino tanto lo so che non ti vuoi sposare. Ma io sì, quindi l'angolino va a te.
Che ridi? C'è una saggezza preziosa nei vecchi modi di dire! Che dici? Non dici niente, lo so. Va bene, stai pure così. Aspetta, versa del vino. Spezza il pane, sa di buono, è fresco.
Arrivo arrivo. Devo solo...ecco sì, quasi ci sono. Tuc tuc. Ah ora sì.
Che fai, le uova?
Più o meno. Anche se credo che ormai la frittata sia fatta.
Allora è pronto? Quasi quasi, fammi mescolare bene, ah scusa se non ti ho chiesto come lo preferisci, che maleducata.
Non importa, se è come il tuo andrà benissimo.
Se lo dici tu. Mh senti che odorino?
Finalmente saprò cosa c'è per cena!
Apri la bocca




domenica 11 novembre 2012

che certe volte che


Che certe volte si spegne il telefono e invece si vorrebbe solo ricevere una chiamata. E allora perché spegni il telefono, così non la riceverai. La vedrò domani. Domani la vedrò e capirò che mi ha cercato. Ma non sarebbe meglio che lo tenessi acceso così ci parli? No. Perché no? Non riesco a sentire la voce e non cominciare a desiderare.

 

Che certe volte si  dice ok e invece si direbbe “fa tutto schifo”, non mi piace quello che hai detto, quello che non hai detto, quello che penso che tu abbia detto, quello che tu volevi dire e non hai detto, quello che.

 

Che certe volte spegni la luce per vedere se hai ancora paura del buio, ma no, non ce l’hai perché insieme all’innocenza hai smesso di avere certe paure e però vorresti lo stesso sentire un megaabbraccio al caffè.

 

Che certe volte dici che vai a dormire e invece non ci vai o ci vai e non ci riesci e ti rialzi e cammini e sbadigli e cerchi di non pensare ma ci pensi lo stesso. E niente. Alla fine non dormi un cazzo e ti devi alzare all’alba.

 

Che certe volte non spegni il mondo fuori, ti spegni tu dentro.

 

Che certe volte ti senti come se potessi baciare il mondo e potresti davvero e poi ti ricordi che non te ne faresti niente delle labbra di tutto il mondo se le uniche che vorresti non le puoi baciare

 

Che certe volte la mano la stringi a pugno fortissimo che poi quando rilasci le dita sembra come se qualcuno te l’abbia stretta fortissimo e lasci che esca il calore dalla pelle, così puoi farlo di nuovo. Stringere fortissimo.

 

Che certe volte anziché guardare una cazzo di foto vorresti guardare gli occhi in 3D.

 

Che certe volte non sai che scrivere e dici che scrivo? E poi arrivi alla fine e capisci che hai scritto molto di più di quello che avresti dovuto.

 

Che certe volte: you and me, and fuck you all, people!

 

Scusate non ce l’ho con nessuno, solo che certe volte

giovedì 8 novembre 2012

rosso, blu e giallo.

poi una si ritrova col sedere sul pavimento freddo e le gambe spalancate, a costruire sogni col lego. Prendi il rosso e poi il blu e il giallo ed è armonia. Sono i giochi dei bambini che ci insegnano a vivere. Non ci rendono più saggi, dato che sto perdendo la sensibilità a furia di stare in questa posizione, ma meglio insensibili a questo che ai propri desideri.
Allora mi volto che una voce chiama, pare mio nonno, quello che veniva dalla guerra. Ma non può essere lui, che non l'ho mai conosciuto. E piango. Piango anche quando non ci penso e vedo altri anziani camminare. Sto col cane e loro stanno tra loro. Appoggiati ad un bastone ideale, aggrappati agli ultimi anni da vivere. Con le facce stropicciate e gli occhi velati dall'età, dalle vite vissute, da quelle che non vivranno mai. E piango un po' anche lì, dietro di loro, a pochi passi, col cane che fa i bisogni e io che li lascio andare, i miei nonni, svanire nella nebbia.
E la nebbia è come il lego. Non pensavo che potesse colorarsi. Rosso e blu e giallo. Deve essere l'armonia di un'altra dimensione che irrompe nella mia. Infatti non mi è dato di vedere, solo di scorgere. E mi stropiccio gli occhi che nessuno mi asciugherebbe le lacrime. E quindi scorgo, forse alberi, palazzi, strade, lampioni, campane disegnate sul cemento. Campane che non suonano ma mi fanno sentire, che i ricordi certe volte fanno un rumore che non si riesce più a capire dove ci si trova. E non si capisce se oltre la nebbia c'è il passato, il futuro. O il mondo dei tuoi sogni.
E mi fermo e la smetto. Smetto di giocare, mollo lì i miei lego. Mi rimetto a camminare, senza il cane.
Verso la nebbia che son vicina solo di un passo.
-non andare-
ma io voglio sapere.
-lo sai già-
impossibile.
-li sai già i tuoi colori-
rosso, blu e giallo. Ma sono confusa.
-normale, fa parte della vita-
e se quella nebbia lì mi inghiotte? Se avanza e io non ho costruito il castello? Come faccio?
-di cosa hai paura?-
di scomparire nella nebbia.
-non accadrà-
come lo sai?
-guarda bene a fianco a te. Cosa vedi sulla strada-
piccoli passi, rossi blu e gialli.
-armonia. È già tutto dentro di te. Solo che tendi a dubitare.-
cosa faccio ora? Fa freddo e non sento le gambe.
-ci sono altri come te. Guarda quello lì, che si pensa grigio e invece è blu brillante. Comincia da lì e vedi dove riuscite ad arrivare.-
Va bene. Grazie. Nonno.


domenica 4 novembre 2012

ogni mattina.

Non lo so, sarà che fuori piove e a me piace da morire quando fuori piove. Stai qui, con me, sotto le lenzuola calde dei nostri corpi. Stai qui, accanto a me, sopra i cuscini caldi dei nostri sorrisi di prima mattina. E' tutto molto semplice e non sto sognando. Ti alzi prima di me, sai che mi piace sentire l'odore del caffè. Mi sveglio subito dopo. Ma ti aspetto. Aspetto che compi i tuoi piccoli gesti, rituali che ti fanno stare un po' tranquillo. Ti riempiono il primo pensiero bello della giornata. E io non potrei essere più felice. Sono io quel pensiero. Mi volto verso la finestra enorme che si affaccia solo sul cielo scuro e le punte degli alberi. Siamo così in alto che non avrei mai creduto avresti accettato di viverci. Ma hai detto sì. E un pochino sei cambiato. Per te , con me. E lo sono anche io. Ecco, ti avvicini "la smetti di scrivere?" sorridi, sai già che non sarebbe possibile. Io scrivo sempre. Anche nella testa, quando tu mi baci, mi rubi l'inchiostro, ma te lo concedo. Mi piace anche questo, che mi fai sentire una pagina bianca ogni giorno. No, non ogni giorno. Ad ogni bacio. No, neanche solo ad ogni bacio. Ad ogni tuo, intenso, sguardo.
Mi manchi. Mi manchi sempre, anche quando ti ho vicino mentre dormi, e ti catturo il fiato con la mani e me lo metto sulla guancia.
Mi manchi. Mi manchi sempre, anche quando ti penso così intensamente che mi viene mal di stomaco e a lavoro pensano che io abbia la gastrite.
Mi manchi e
Mi manchi.
E ti amo. Come si amano le cose di cui sai di non poter fare più a meno.
Ti amo anche perché so che desideri ogni piccola cosa di me, ma non me la chiedi mai. Che certe volte penso persino che ciò che faccio e scrivo e penso non ti piaccia affatto. Io creo tutti i mondi possibili e tu già li possiedi, che non esisterebbero se non ci fossi stato tu, questo devi ricordarlo sempre. Anche quando ti manco. Anche quando ti mancherò. E mancherò ai tuoi abbracci e alle tue mani. E ai tuoi occhi...
non piangere amore, non piangere sennò piango anche io. Potremmo allagare la città più della pioggia con il nostro dolore. Non piangere, non piangere. Oppure facciamo così: quando piango io mi tieni a galla tu e poi facciamo il contrario, che se entrambi franiamo, riempiamo solo la casa di polvere e chi la pulisce poi...
Dai sorridi, amore, sorridi quando vedi l'alba che colora il giorno.
Sorridi, quando pensi a me, me lo prometti?
Che voglio che ci portiamo dentro come una mamma porta felice il dolce peso dell'attesa.
Raggiante.
Dammi la mano, adesso, baciami, e riscriviamo tutto daccapo. Ancora e ancora e ancora.

c'è una distanza di te che non colmerò, e va bene così, sono spazi tuoi. io intanto, riordinerò la nostra stanza, abitando il luogo dell'attesa. ti lascio la chiave dentro la pianta senz'acqua, così avrai da fare, mentre starai là, ad aspettare.

venerdì 2 novembre 2012

""acqua""

Senti, c'è un suono che non sa tacere

l'unica fiamma che non brucia

vento che non scuote e non scappa

è un rumore lieve d'acqua

sono i suoni delle parole

senti, a c q u a

apre le labbra come prima di un bacio

bacia la pioggia e batte i denti nella solitudine fredda

in attesa che l'asfalto risponda e la raccolga in un lago di città

uno specchio, suona violento

picchia la vista se ti ci butti dentro

ma non temere che è sempre e solo acqua

e allora sorriderai

con le dita la sfiorerai

il fruscio dolce di una carezza

è pioggia che solletica la guancia

son tutte vive queste piccole lacrime

si spargono sulla terra riarsa, bruciata, nascosta

e ha bisogno ancora d'acqua

senti, a c q u a

il suono si apre ancora, pare un abbraccio

non stringe ma avvolge, è un patto

mani che battono, quasi si scontrano

solo per arrivare a toccarsi

e l'una nell'altra, d i l u i r s i


a c q u a

               a c q u a

a
   
  c

q

   u

a

una danza è

la speranza.


giovedì 1 novembre 2012

Accade, quando ci tieni.

Ti ho aspettato fino a dimenticare cosa. Mi è rimasta un'attesa nei risvegli, saltando giù dal letto incontro al giorno. Apro la porta non per uscire, ma per farlo entrare.
Non vorrei scrivere di storie vere o di amori impossibili. Vorrei scrivere di panchine piantate nella terra, circondate dal verde profumato dell'erba. C'è anche qualche piccolo fiore, che spunta con un ciuffo di colore, nell'asfalto.
Sono cose che amo scrivere, queste. E tu ami leggerle. Le ami perché c'è dell'amore dentro, c'è una fievole luce, quel calore di mano che sfiora un'altra mano. Mi è rimasta l'attesa perché l'attesa si riempie sempre un pochino, si gonfia come un palloncino di speranza. E se potessi saltare giù dal letto senza annichilirmi per il freddo dell'inverno, spalancherei non solo la porta, ma tutte le finestre di casa mia per fare entrare il mio amore, il mio amico, la mia piccola primavera.
Parliamo di se e di ma, dimentichiamo che il tempo se ne frega dei piani della gente, e ti mozza le gambe, alcune volte ti fa finire dritto in ospedale nel pieno della notte.
Ed è allora che lo fai entrare davvero, l'amore di cui hai bisogno. L'affetto. La cura. Sarebbe bello che non dovessero succedere fatti particolarmente tragici per farci comprendere quanto qualcuno conti in un modo che ti spezza il fiato. Ma siamo umani. Sbagliamo. Dimentichiamo di sognare. Facciamo finta di non sperare. E siamo spesso troppo orgogliosi per metterci in ginocchio.
E allora si fa quel numero, si scorre la rubrica. E poi ti innamori di quel gesto che stai facendo, perché stai cedendo e stai chiedendo aiuto e non ci sei abituato. E ti innamori di nuovo di una frase. Una cosa che molti non fanno più: dare calore incondizionato.
Io ci sono. Rimango sveglio. Non sei solo.
E allora è come se dentro, insieme alla paura del momento, nella confusione dell'angoscia e della nebbia nel cervello, qualcosa fa di nuovo click e quella ruota che avevi bloccato come si fa con le ruote di una sedia a rotelle, ricomincia a girare.
E gira. E tu la senti. E non ne vuoi fare più a meno. E allora non importa più in che modo quella persona c'è, non conta se ha anche una vita propria, se sta vivendo qualche storia, se sta passando periodi di angoscia silenziosa. Non conta non perché non sia importante, ma perché hai finalmente incominciato ad accogliere quella persona così, come viene, quando vuole, per amore o per egoismo, per amicizia o per pietà. La accogli. E non gli fai più le domande che avresti fatto prima. Ti occupi solo di stare in un angolo della sua vita o qualsiasi altro spazio che ha intenzione di concederti e stai. Stai lì. E glielo dici che stai lì. Che non te ne andresti mai più. Perché in un modo o nell'altro, vuoi che continui. Che continui sempre. Anche con intervalli di silenzi, aggiustamenti di ingranaggi reciproci.
Deve continuare. Solo questo conta.
Perché gli inverni sembrano più lunghi delle estati o delle primavere, ma quella panchina sta lì bella piantata alla sua terra. E sta. Attende. Vive dei fiori vicino, delle nuvole del cielo, dei baci dei ragazzi innamorati, dei bastoni che gli anziani usano per camminare.
Le panchine vivono a modo loro. Forse è questo che tutti siamo, panchine che respirano le stagioni e gli odori del mondo e della gente.
Io ci sono. Ha un odore buono, di biancheria pulita, di persona pulita. Di qualcosa che merita solo di essere asciugata al sole, all'aria frizzante della sera. Ed essere indossata ogni giorno. Magari prima di andare a dormire. O appena svegli. Prima di ricominciare la giornata.