Che uno si prende quello che può e non quello che c’è, ché
se non c’è non potrebbe prenderselo e sai che dispiacere? Allora come se lo
prende, dici tu. Niente, che ti posso dire? Ognuno ha un modo suo. C’è chi si
prende un mucchietto di parole e fa una montagnetta e in cima ci mette un
pensiero. C’è chi prende un pennello e adora sentire prima le setole sui
polpastrelli, poi li immerge nell’acqua e poi è il turno del colore. C’è chi
accende la radio e pulisce per terra con lo swiffer, che piace vedere la
polvere che pare del cotone sporco, e poi prende il panno lo chiude con cura e lo
mette nel sacchetto di plastica. Poi ci riflette e pensa: ma è riciclabile lo
swiffer? E se sì, dove lo piazzo? Poi c’è chi si mette su youtube, si crea un
canale preferenziale per le proprie emozioni e se le conserva per crearsi una
strada da ripercorrere per ricordare. Poi c’è chi si avvolge le dita con il
nastro, si infila le scarpette e si mette a scrivere poesie con il corpo.
Poi c’è chi crede di non saper fare nulla e si prende quello
che può con uno sguardo verso il cielo, una mano tesa nell’aria, una guancia
immaginata accanto alla propria.
C’è chi si prende l’infinito in un abbraccio.
C’è chi si apre al silenzio racchiuso negli spazi tra le
parole, perché non si affida alla carta, ma solo alla fede dei propri
sentimenti.
C’è chi può. C’è chi c’è. C’è chi, pur non potendo, c’è. C’è
chi, pur essendoci, non può.
C’è che come la rivolti, che sia una sbavatura di colore,
una virgola, una nota, lì ci siamo noi.