martedì 29 ottobre 2013

per trovare la strada di casa

ti dico cosa ho fatto per arrivare a questo punto
sono rimasta chiusa fuori dalla porta e ho perso la chiave, quella che dovevi tenerla tu ma poi l'hai data a me e io chissà dove l'ho messa
ah sì, l'ho portata dal tipo che fa le copie e l'ho lasciata là, mi sono ricordata che una l'avevi messa sotto il tappeto, che sotto la pianta era troppo facile
solo che non l'ho trovata sotto il tappeto e nemmeno sotto la pianta e allora ho pianto e mi sono messa sulle scale, che ti aspetto lì mi son detta, dai piedi ti avrei visto, bastava solo tirare su il naso
ma mi sono ricordata che le scale erano a chiocciola e la chiocciola mi crea problemi, allora mi son spostata e mi sono messa davanti all'ascensore
solo che l'ascensore s'è rotto e non si apriva più allora ho detto: magari c'è un montacarichi fuori dalla finestra
allora sono salita sul montacarichi e faceva un freddissimo proprio, non pioveva ancora, ma ci avrei scomesso che mentre salivo da te avrebbe certamente cominciato
infatti a metà strada ha cominciato a piovere, e ad ogni piano accumulavo il freddo, e avevo paura anche di finire l'ossigeno; so che in montagna, quando si scala, bisogna conservare il respiro che quello si perde strada facendo e chissà perché più sali più vai in apnea, manco stessi al mare, sotto l'acqua. Anche se sotto l'acqua mo' che piove ci sto davvero e quindi il paragone non è poi così sbagliato
solo che mi sono vestita leggera per questo tempo, non ero attrezzata per salire, ma ormai che sto salendo non voglio certo scendere e quindi mi tengo il freddo e la pioggia e non mi fermo
solo che si ferma il montacarichi
allora picchio i pugni contro la finestra così una vecchia si sporge e mi prende per una maniaca e chiama la polizia, e magari anche i vigili del fuoco
beh, non ci crederai, ma sono arrivati davvero i vigili, allora ho detto: mi presta la scala, io devo salire là in cima, ma sono sfortunata sfortunatissima con i mezzi di trasporto, che le scale mi fanno paura, gli ascensori si sono rotti da qualche parte, i montacarichi si sono fermati e le vecchiette, insomma, le vecchiette non ti fanno mai parlare eh, ti aggrediscono e basta
però meno male che vi ha chiamato, così mi potete accompagnare su
ma non mi volevano accompagnare, allora ho detto che mi sono dimenticata il gas acceso e avevo paura che scoppiasse un incendio e allora se non facevano il loro dovere, toccava farlo a me. ma ecco mi sa che un po' il pompiere s'è offeso e allora mi voleva portare giù e io mi sono messa a piangere ancora. allora quello ha capito che non era il gas, che non era il fuoco, che non era la vecchietta, che lassù c'era il MIO GATTO e io dovevo salvarlo, cioè dovevo salvarmi, cioè bisognava fare qualcosa a tutti i costi. ma io non sapevo che cosa dovevo fare ancora
e allora il pompiere ha chiamato batman, ci crederesti?
beh, ma a me batman non sta tanto simpatico, si fa troppo figo per via di tutti quei gadjets, che dico io, non te la devi tirare perché hai il portafoglio gonfio
allora ho chiesto al pompiere se per caso conosceva l'uomo ragno, ché lui è umile e sfigato come me e mi può capire, ci sarebbero state tante cose di cui parlare durante la salita per arrivare a casa
allora il pompiere mi fa, no mi spiace niente uomo ragno, ma nel frattempo hanno aggiustato l'ascensore se volevo.
beh sì, io volevo proprio eh.
allora niente, ho salutato il pompiere ma la vecchietta no e sono rientrata dentro piena di pioggia, contrattempi e freddo freddissimo.
beh, ho aspettato l'ascensore al caldo ma gocciolavo parecchio, mi sembrava di sciogliermi ad ogni minuto. e ho pensato: se mi sciolgo come ci torno a casa? se mi sciolgo come facevi a raccogliermi? col mocio vileda? allora mi son detta: no dai non mi scioglierò, mi asciugherò nel tragitto
quindi alla fine sono arrivata a casa, ho suonato, mi hai aperto, ero asciutta ma avevo ancora freddo, allora mi hai detto: dai andiamo a letto.
e qui ce lo mettiamo proprio un punto che non voglio andare da nessuna parte co' sto freddo, voglio rimanere al caldo con te. punto. .

venerdì 18 ottobre 2013

amore a lunga conservazione

- dai, facciamo a metà?
- no, metà no.
- dai, facciamo a tre quarti?
- non s'è mai visto pagare così.
- dai, facciamo un decimo? Un decimo ti me e di te, di tutto, insomma. E poi risparmiamo per i tempi duri.
- ma io non condivido.
- inizio io, poi tu, poi io, poi tu...
- ma così scompariamo, dove andiamo se ci mettiamo da parte in tutto?  Se conserviamo ogni cosa?
- beh, ma se io conservo te e tu me, alla fine non siamo la stessa cosa?
- mi sento un barattolo di sugo.
- io di pesche sciroppate.
- quelle mi piacciono.
- a me piace il sugo.
- mh.
- che facciamo,  ci apriamo?

mercoledì 16 ottobre 2013

siamo consanguinei

siamo frasi da girare, da riscrivere. mai dimenticare.
siamo i margini consumati di pagine maltrattate.
e la pioggia di ogni tempo ci cade addosso come se portassimo il peso di mille vite che non ricordiamo, e ci cancella tutte le parole
cerchiamo negli angoli un canale di scolo e piangiamo
siamo noi il canale, ci proteggiamo l'anima dal freddo
è un mondo sbagliato di regole sbagliate in posti sbagliati per tempi sbagliati
ma se l'unica cosa giusta fosse solo un incontro?
uno su tutti, contro tutti gli altri, che si fa posto a gomitate tra i ricordi, quelli di questa vita.
e se però i problemi fossero antichi quanto antico è il mondo?
se non fossimo in grado di perdonare quello che già avremmo dovuto in una vita precedente?
se l'anima che chiamano gemella fosse una vita appesa, appesa ad un'altra vita, appesa ad un'altra vita?
chi li azzera i nostri torti? la prossima esistenza, forse?
rimandiamo a domani come se ci fosse per diritto, ma sento che non esiste, non esiste più domani e delle zavorre della mia attuale vita ne ho così tante, che portarsi appresso pure quelle di prima sarebbe troppo.
e allora il passato non esiste. perché tanto la memoria la perderò per sempre.
non esiste quell'anima gemella, che me ne faccio di un'anima che m'è rimasta appesa? non la desidero. però la perdono, però ne imploro il perdono.
e sto qui, nel presente, in questo istante, in cui insieme alla pioggia, amo e soffro.
e posso cadere mille volte perché sono goccia, e posso piangere mille lacrime perché sono acqua che scola via dal corpo
e sono fuori e dentro al corpo e ho ancora freddo, siamo quel che siamo, siamo miseri, intendo.
siamo pozzanghere sporche, scarpe infangate, membra intorpidite
siamo così sbagliati dentro e fuori, non combaciamo affatto, ci feriamo di continuo
il sangue che si mescola con acqua piovana, questo siamo.
solo che quell'incontro lì, quello in mezzo alla pioggia, io ci torno per tornare a sentire il tuo calore sulla pelle fredda.

sabato 12 ottobre 2013

le tue impronte

Ci sono le impronte che lasci la notte, quando ti muovi, finalmente ti svegli.
Le trovo al mattino, nelle lettere che mi lasci sul cuscino.
Scrivi parole d'amante, lo sai questo?
Però te ne vai. Perché te ne devi andare la mattina,  in quella prima ora, quasi vedo svanire la tua immagine. Si alza dal letto, si fa un giro per la stanza e si fa porta. Diventi di legno un attimo prima di sparire.  Stai lì, aspetti, non sai se voltarti e guardarmi.  Girati dai, non vedi che dormo, che sogno? Lo vedi che sono sveglia sulle tue tracce? Certe volte sono rosse come il sangue. Sono sangue. Smetti di graffiare i muri,  ti fai male e io non ti posso curare al mattino. Vai via un attimo prima dell'inizio della guarigione. Allora stanotte ti lascio tutto sul comodino: garze, acqua ossigenata e crema. E amore.
Certe volte i tuoi segni sono neri, parole che confondi con altre, confondi te stesso per confondere me. Sappi che ci riesci. Mi prendi, prendi te e ci fondi.
Poi ci sono quelle notti in cui non vedo, ma sento, e le tue impronte sono gesti trasparenti ovunque: sul mio corpo, sui muri. Perfino le luci tocchi, le accendi toccandole, toccandomi. E ti bruci.
E sono di nuovo garze che ti lascio.
Cosa ne fai, cosa ne farai?
Perché penso che, sciocco come sei, te le terrai intatte, le collezionerai per ricordare le nostre notti. Ti immagino perfino catalogarle.
Le terrai per tenerti le ferite aperte.
E terrai me per curarle.
Allora che fai li dove sei. Voltati ora. Salutami e conservami.
Torna domani, ho voglia di leggere tutto quello che ancora, con le tue impronte, mi scriverai.
Perché fingi di non saperlo, ma lo sai, lo sai anche tu che tornerai.